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Corriere della Sera

«Nello spazio manderei un cellulare, così E.T. potrà chiamare casa»

di Federico Marchetti

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Il fondatore di Yoox ha partecipato al Test di Sagan, l’astrofisico che inviò musica nello spazio per dialogare con gli alieni, e scelto un cellulare «per sentire le voci amiche»

Nel 1977 l’astrofisico Carl Sagan inviò la musica nello spazio con la sonda Voyager per dialogare con ipotetiche civiltà aliene. Il Corriere Innovazione ha chiesto all’imprenditore che cosa sceglierebbe di inviare. Ed ecco cosa ha risposto il fondatore di YOOX, il primo e-commerce di lifestyle al mondo, quotato alla Borsa di Milano nel 2009 e ancora oggi l’unico unicorno tecnologico in Italia (poi fuso con NET-A-PORTER).

«La prima volta che lo vidi era il 1990 e studiavo alla Bocconi. Non sapevo ancora cosa volevo diventare. Fuggito dalla provincia per arrivare in una grande città, sognavo l’America, il futuro, la modernità e quell’oggetto nero, grande, contenuto in una valigetta mi colpì subito: mi sembrò rivoluzionario, pur nella sua estrema semplicità. Faceva una cosa sola ma in maniera completamente diversa da come l’avevamo fatta finora. Acquistai uno dei primi modelli e da allora l’ho usato, studiato, cambiato, ma soprattutto è lui che ha cambiato me, la mia vita. Sto parlando del cellulare, dei mille avvenimenti che mi sono successi dopo, e che hanno avuto proprio il telefonino come centro di gravità. Appena lo ebbi in mano, lo volevo già migliorare: mi sarebbe piaciuto avesse una fotocamera all’interno perché usare le due cose contemporaneamente era impossibile, ma ahimè non lo feci! Pochi anni dopo però, nel 1999, quando inventai YOOX, divenne per me un’ossessione. Nel 2004 guardando i giapponesi che non si separavamo mai dal loro keitai capii che quell’oggetto avrebbe cambiato il nostro modo di comunicare e di fare shopping. Ne intuii le potenzialità e decisi di puntare tutte le strategie aziendali sul cellulare. Istituii una task force nel 2006, un anno prima della nascita dell’Iphone proprio per studiarne l‘utilizzo. Da allora è stato “like a rolling stone”: mi ha portato a dialogare con Steve Jobs di fashion e tech, a diventare amico di Jony Ive, il designer che ha inventato l’iPhone, a scoprire che avevamo un altro legame in comune, il Principe Carlo. E quando nel luglio di quest’anno ho lasciato il mio Gruppo, che nel frattempo era cresciuto e si era fuso con NET-A-PORTER, la stragrande maggioranza delle vendite venivano proprio dal telefonino. Per questo, e per tutte le opportunità che mi ha dato e che sono convinto stia dando ai 4 miliardi di persone che lo posseggono, manderei un telefonino nello spazio».

«Ma perché ho scelto proprio un telefonino? Per diversi motivi. Il primo è che comunicare con gli altri è una delle cose più importanti al mondo. Ascoltare una voce amica, trovare conforto, capirsi, sentire le pause, i sospiri, le risate può riconciliarti con la vita. Ne abbiamo avuto una riprova durante la pandemia: il senso di solitudine che molte persone hanno provato, l’isolamento nei reparti ospedalieri è stato mitigato proprio dalle video chiamate che hanno avuto l’effetto di diventare una medicina per l’anima non meno importante di quella per il corpo. Comunicare sarà sempre più vitale in futuro. Non è detto che lo faremo attraverso il telefonino, quasi sicuramente no: Apple sta studiando degli occhiali in grado di unire universo reale e virtuale, capaci di visualizzare informazioni, di consentirci di parlare e di scattare immagini solo muovendo i nostri occhi; altri pensano a microchip da impiantare sottopelle, altri a strumenti in grado di anticipare la nostra volontà e di connetterci e aggiornarci in una frazione di attimo. Sono sicuro che accadrà, che il telefonino diventerà memorabilia come il dvd, lasciando lo spazio a device più innovativi e futuribili ma per il momento è l’oggetto che conosce più cose di noi stessi di chiunque altro. Custodisce i nostri ricordi, le nostre foto, i nostri messaggi, sa cosa faremo domani e cosa abbiamo fatto oggi, ci tiene compagnia, ci diverte, riempie le nostre timidezze quando non abbiamo il coraggio di dire una cosa ma riusciamo a scriverla. Ha preso il posto della sigaretta quando lo usiamo per ingannare il tempo. Certo è meno dannoso del tabacco ma purtroppo non meno pericoloso per le nuove generazioni che spesso ne abusano. Per questo non l’abbiamo ancora dato a nostra figlia: aspettiamo che compia 13 anni e quando andrà a scuola da sola, allora ne potrà possedere uno suo. Ma ho deciso di portarlo nello spazio soprattutto perché c’è una cosa che non ho mai dimenticato: nel 1982 E.T. chiedeva disperatamente di telefonare a casa ed io che sono un amante di Spielberg e della fantascienza penso sia giusto, dopo 40 anni, portargli un telefono dove penso sia ora casa sua».

Pubblicato su Corriere della Sera

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