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Collection of articles and interviews with Federico Marchetti
Fashion Magazine
Federico Marchetti
di Andrea Bigozzi

Dalla parabola dell’e-commerce all’impegno con Re Carlo, l’inventore di Yoox racconta la sua nuova fase da “filantropo per le imprese”.«Ynap? La sogno tra le 100 più capitalizzate al mondo, anche da ex»
L’effetto sorpresa non scatta al momento delle presentazioni.
Chi ha letto la sua autobiografia Le avventure di un innovatore sa già cosa aspettarsi: un Federico Marchetti informale, fedele al suo dress code quotidiano con tuta in cashmere Armani e Adidas in plastica riciclata.
Nemmeno il primo sguardo al suo nuovo appartamento milanese a CityLife sorprende davvero, per quanto bello.
Anche questo, in fondo, era stato anticipato nel libro, dove ricorre spesso il nome di Luca Guadagnino, amico e regista a cui Marchetti ha affidato il design di molte delle sue case.
«L’input era il Brasile», spiega, mostrando la grande sala piena di piante, che richiama certi interni modernisti di San Paolo: volumi ampi, avvolgenti, da giungla urbana.
La sorpresa arriva durante l’intervista.
Colpisce la sua naturalezza nel cambiare registro, passando da un tema all’altro con ritmo serrato, ma mai disorientante.
Ogni pensiero è supportato da dati, aneddoti, esempi.
In un’ora, il fondatore di Yoox ed ex CEO di YNAP spazia dal recente incontro a Ravenna con Re Carlo III – che gli ha affidato la presidenza della Fashion Task Force per la sostenibilità – all’analisi del futuro dell’e-commerce.
Snocciola termini come digital product passport, ma parla anche con un linguaggio umanistico, riflesso del suo approccio e della nuova missione.
«Secondo Brunello Cucinelli, ora faccio filantropia per le imprese», dice lasciando da parte il lavoro su cui era concentrato fino a un momento prima: l’analisi dei risultati sul progetto del Digital Product Passport.
«È un tema cruciale – afferma –. Nel 2021 l’ho indicato come priorità della Task Force.
Un anno dopo, la Commissione UE lo ha adottato».
Mentre molti stanno ancora implementando, voi siete già oltre...
Siamo nella fase di analisi dei dati dei clienti e questo ci mette un passo avanti.
I membri della Task Force stanno raccogliendo feedback aggregati.
Posso anticipare che l’interesse dei consumatori è concreto: passano da uno a quattro minuti sul DPP.
La prima informazione che cercano è l’autenticità del prodotto, che li porta in modo naturale a esplorare anche la tracciabilità.
È un po’ come un cavallo di Troia: entrano da una porta familiare e scoprono molto di più.
Ma oltre non posso dire, devo ancora condividere con Sua Maestà i risultati...
Ormai Re Carlo III sembra essere una presenza costante nel suo percorso.
Recentemente lo ha anche accompagnato, con la Regina Camilla, nella “sua” Ravenna.
Com’è andata quella giornata?
È stato un momento straordinario.
Li ho accompagnati nella visita ai mosaici come “guida emotiva”, mentre una professoressa curava gli aspetti storici e tecnici.
Tutto è stato organizzato in modo impeccabile dall’Ambasciatore e dal Console inglesi.
Ma il momento più toccante è stato vedere la felicità negli occhi dei bambini.
Ravenna, colpita da due alluvioni in due anni, ha vissuto la visita come un’iniezione di orgoglio e speranza.
Era una giornata di primavera, con un sole inaspettato: fortunatissimi.
Nelle strade balli, liscio romagnolo, un clima di festa autentico.
E poi l’arrivo del Re e della Regina: un messaggio potente per quei bambini.
“Se vengono qui, allora Ravenna è importante”.
Ho visto felicità contagiosa, un senso di appartenenza mai percepito altrove.
Per questo ho deciso di includere questo episodio come finale della versione americana del libro.
Il romanzo inizia e finisce a Ravenna, con l’arrivo del Re.
Un cerchio che si chiude.
Così Le avventure di un innovatore arriverà anche in America?
Sì, si intitolerà The Geek of Chic (letteralmente, Il nerd dello stile, come è stato definito dal New Yorker, ndr).
Bel titolo! Ma un sogno americano “made in Italy” può davvero conquistare gli Usa, dove già dominano storie di nerd e garage?
In Italia sono stato una mosca bianca.
Ma la mia storia è diversa anche da quella dei tech entrepreneur della Silicon Valley.
Con Yoox ho seguito un percorso alternativo: moda, creatività, umanesimo.
Negli Usa molti partono da poco e arrivano in alto, ma il mio è un punto di vista italiano: non freddo, tutto algoritmi, ma fatto di innovazione e cultura.
Un binomio a cui loro non sono abituati.
E poi c’è la moda, che li ossessiona ma in cui non hanno mai eccelso.
Jeff Bezos, ad esempio, non ne ha mai colto il vero valore.
Il suo approccio — massimizzare l’efficienza — è l’opposto del lusso, che si basa su unicità, identità, esperienza.
La moda richiede sensibilità ed estetica.
È un linguaggio complesso.
E penso che la mia storia possa parlare anche al pubblico americano, proprio perché porta emozione, bellezza e umanesimo.
Torniamo in Europa: che impressione le ha fatto l’acquisizione di YNAP da parte di Mytheresa?
Tutto mi pare molto ragionevole e sano.
L’a.d. Michael Kliger si è sempre dimostrato un eccellente gestore alla guida di Mytheresa.
In realtà, la direzione di separare in modo chiaro off-season e in-season era già tracciata quando guidavo il gruppo.
Il piano industriale prevedeva una distinzione precisa tra Yoox e Net-a-Porter, proprio come tra off-season e in-season.
Certo, alcune componenti tecnologiche erano condivise — come il data layer per analizzare i comportamenti di acquisto tra i due mondi —
ma dal punto di vista del front-end e dell’esperienza per il cliente, la separazione era già netta.
La strategia di Kliger le sembra in continuità o una rottura col passato?
Onestamente, seguendo la vicenda sui giornali, non ho mai letto nulla che mi abbia fatto sobbalzare sulla sedia.
Tutte le dichiarazioni mi sono sembrate mosse da buon senso e razionalità.
Auguro il meglio a Kliger e a tutto il team.
YNAP la sento ancora un po’ mia: è una creatura che ho desiderato, rincorso, costruito.
So che l’execution sarà complessa: YNAP è una realtà più grande e articolata di Mytheresa, sia per mercati che per brand e organizzazione.
Ma se riusciranno nell’impresa, sarà un grande risultato.
Glielo auguro di cuore.
Si è confrontato con loro in questa fase? Hanno cercato il suo parere?
No, non mi hanno contattato.
Se lo facessero?
Non ci ho pensato e non so neanche se sarebbe corretto che lo facessero.
Questa eventualità non è nei miei pensieri.
Nei suoi pensieri oggi ci sono Re Carlo, la task force, Re Giorgio come membro del board di Armani.
Ma l’e-commerce lo segue ancora? Il momento sembra complicato...
Non sono catastrofista, anche se è innegabile che il mercato si sia contratto.
La verità è che per realtà come YNAP le possibilità di fare business si sono ridotte.
Il servizio che Yoox offriva ai brand per realizzare e gestire i loro e-shop monomarca, ad esempio, oggi è residuale: ormai se lo fanno in casa.
Abbiamo insegnato loro il mestiere ed è naturale che oggi siano diventati bravi a farlo da soli.
Ma era prevedibile.
Cosa intende dire?
È un modello classico per le aziende di moda, in tutti i settori in cui operano:
si comincia con un partner e poi si internalizza.
Non mi ha sorpreso vedere quindi spegnersi il mercato di chi realizza i monomarca online contoterzi.
Noi però, avendolo fatto per primi, abbiamo avuto quasi 15 anni di vantaggio.
Abbiamo lanciato il primo monobrand nel 2006 con Marni,
mentre la joint venture con Kering è addirittura del 2012.
È stato un successo, che ha moltiplicato il fatturato online dei brand del gruppo in modo esponenziale.
Abbiamo insegnato il mestiere, com’è naturale.
E sul fronte degli e-commerce multimarca?
È un mercato maturo.
Oggi c’è meno spazio per l’innovazione e più per la gestione.
Il problema è che le piattaforme sono tutte un po’ uguali.
Io mi sentivo il consumatore zero di Yoox, facevo in modo che fosse diverso dagli altri:
c’era più arte, cultura, cose assurde, sorprese per il cliente.
Non era uguale a nessun altro.
Oggi guardando il mondo dell’online fashion vedo poca differenziazione.
Quando questo succede, vuol dire meno creatività, meno idee e anche meno innovazione:
si finisce per competere solo su prodotto e prezzo.
Ma il prezzo è una leva nel breve termine, mai una strategia nel lungo.
Ha sempre seguito un suo approccio, anche controcorrente.
Ha resistito pure alle logiche di marketing, vero?
Sì.
Per esempio, da Yoox non c’erano prezzi barrati finché sono rimasto in azienda.
Io volevo che la gente comprasse per il valore, non per lo sconto.
Una mentalità diversa.
I direttori marketing hanno sempre fatto fatica con me.
Ogni nuovo arrivato chiedeva una riunione per propormi i prezzi barrati.
Io dicevo sempre di no.
Dopo 21 anni, appena sono uscito, li hanno messi subito.
C’è ancora spazio per nuove idee?
Avevo coniato il termine “entertailer”, da entertainer + etailer, intrattenimento e commercio.
Facevo intrattenimento e non lo vedo più fare.
L’esperienza di Yoox era arte, cultura, sorprese.
Poteva non piacere, ma era unica.
Ricordo Rosamond Bernier, una 90enne che mostrava il suo armadio vintage,
prima che queste iniziative diventassero un trend,
o il lancio di JW Anderson e Simone Rocha.
E il tema della sostenibilità, lanciato nel 2008, prima di tutti.
L’AI può aiutare l’entertailer?
Se l’AI serve per valorizzare meglio le idee e la creatività, ben venga.
Ma se non porta a nulla, allora no.
Sono un umanista: il nome Yoox lo dimostra.
Gli artigiani non devono essere al servizio della tecnologia, che è uno strumento,
pensato per il cliente finale: una persona con emozioni, cultura, voglia di imparare e di essere sorpresa.
Pensando a YNAP oggi, con lo sguardo di chi l’ha fatta crescere, che augurio le fa per il futuro?
L’ho già raccontato in altre interviste:
il mio sogno è sempre stato aprire il Financial Times a 80 anni, su una spiaggia,
e vedere Yoox tra le 100 aziende più capitalizzate al mondo.
È il sogno di un imprenditore che ama il suo progetto, anche dopo averlo lasciato.
E invece lei pensa di tornare a fare impresa o investire in startup?
Mi piace quello che sto facendo con la Fashion Task Force.
Brunello Cucinelli dice che sto facendo filantropia per le imprese.
Aiuto Armani col cotone organico in Puglia,
Cucinelli nel progetto del cashmere realizzato in Himalaya,
spingo i brand a usare il passaporto digitale.
Non ci guadagno niente, ma mi dà soddisfazione.
Metto la mia esperienza al servizio di imprese e collettività.
E sto vivendo una vita felice.
Su quali fronti vale la pena investire?
Innovazione e sostenibilità insieme.
Anche se ci sono forze contrarie – penso all’atteggiamento di Trump sull’ambiente –
credo che il trend, anche se rallentato, sia ancora fortissimo.
Nel corso che ho ideato in Bocconi, Creating a Start-up in a Digital and Sustainable Economy,
tutti i progetti degli studenti erano centrati lì.
C’è spazio per chi vuole lavorare su questi fronti.
E forse anche più di prima: con il presidente USA che frena su questo tema,
i giovani hanno l’occasione per arrivare prima degli altri.
Nutre forti aspettative sui giovani?
Sì.
La mia generazione non ha fatto cose utilissime per il pianeta.
Sono super ottimista sulle nuove generazioni,
non credo affatto a chi dice che non hanno voglia di lavorare o fare sacrifici.
Il vero problema non sono loro, ma il sistema educativo.
L’arretratezza è nel sistema, non nei ragazzi
che sono pronti a mettersi in gioco e a creare lavoro, più che a cercarlo.
È ottimista anche per la moda?
I designer emergenti sono tanti, ma pochi ce la fanno...
C’è un ricambio generazionale in corso, bisogna vedere come sarà gestito.
Chi ha fatto grande il Made in Italy deve trovare successori.
Spero che il passaggio avvenga con benevolenza verso i nuovi talenti.
A proposito di nuove generazioni, sua figlia Margherita ha la stoffa per l’impresa?
Nel libro dice che è brava nelle trattative...
È una ragazzina, ha tante qualità e dovrà scoprire da sola la sua strada.
Io la mia l’ho trovata solo a 29 anni, con Yoox.
Pubblicato su Fashion Magazine n.2 2025