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HOW TO SPEND IT

In meno di un secondo

di Nicoletta Polla-Mattiot, 1 marzo, 2019

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Foto di David Needleman

Per la precisione uno ogni 0,7 secondi. È il record di ordini su Ynap. La mente dietro il colosso globale del luxury fashion che viaggia su internet è Federico Marchetti. Lo abbiamo incontrato perché a marzo ricorrono i trent’anni del World Wide Web e lui ci ha ribadito la sua formula per avere successo nell’e-commerce: C2C+020.

Tanto vale dichiararlo subito: ho fatto il mio primo acquisto di moda online ieri, meno di ventiquattr’ore prima d’incontrare Federico Marchetti.

Compro col tatto, mi piace sentirmi un abito addosso più che vedermelo, sono dunque la peggiore acquirente digitale. Ho scaricato l’app, mi sono registrata e ho comprato una giacca 8 by Yoox, la prima collezione sviluppata grazie all’intelligenza artificiale, creatività a misura di algoritmo e codice binario inscritto nel logo. Flaggo consegna Express, tempo un giorno. La riceverò, se va bene, poco prima dell’intervista.

Seconda premessa: sono e-commerce refrattaria, in compenso Instagram-addicted. L’idea di questa intervista nasce, nell’ordine, da una finta formula chimica, da due cavalieri affiancati e una piscina. A fine anno, il presidente e amministratore delegato Ynap ha postato «C2C + O2O», dichiarando che erano le sue previsioni per il 2019. «Non preoccupatevi, non si torna a scuola di chimica. È la formula che noi usiamo da vent’anni: Content to Commerce e Online to Offline». È il primo argomento che ho intenzione di approfondire, quella vocazione a identificare shopping e industria nell’intrattenimento che è la cifra del successo del gruppo (al punto che il neologismo entertailer – di conio Marchetti – è un marchio registrato). Non solo: la relazione fra negozio fisico e negozio virtuale è la vera partita del futuro per la maggior parte dei brand che vogliono presidiare il mercato del lusso. Torniamo per un attimo a Instagram e alla seconda foto: un tavolo in attesa dei suoi relatori, a sinistra il nome di Tim Berners-Lee, a destra quello di Federico Marchetti. L’inventore del World Wide Web di cui, proprio a marzo 2019, ricorrono i trent’anni e l’inventore, solo otto anni dopo, del matrimonio fra internet e moda luxury. Inevitabile partire da qui, dal timing. «Il tempo per me è tempismo e devo dire che ci ho sempre molto azzeccato», dice con quel misto di ironia e consapevolezza che sarà il registro di tutta la nostra conversazione. Insieme a uno sguardo curioso, da eterno ragazzo e una naturale gentilezza all’antica. «Se pensi che ho inventato Yoox alla fne del 1999 e l’ho fondata nel 2000, il giorno dell’equinozio di primavera! Praticamente in tre mesi ho avuto l’idea, fatto il business plan, raccolto i soldi e aperto. Era il primo pezzo del puzzle, la mia prima pagina, e già conteneva tutta la storia. Vado dal notaio il 21 marzo, firmo e il 21 giugno, solstizio d’estate, apre i battenti Yoox.com». In mezzo scoppia la bolla internet. Nell’aprile del 2000, l’investimento nelle Dotcom mostra risultati deludenti, da lì parte un’ondata di vendite che porta il Nasdaq, l’indice dei titoli tecnologici, a perdere in tre giorni quasi il 9 per cento. S’innesca una caduta verticale delle quotazioni dei titoli di settore: molte società internet chiuderanno nel giro di un anno. «In quel momento, tutte le porte del Paradiso, cioè allora dei venture capitalist, si sono chiuse. Tac, in un secondo. Un attimo prima erano spalancate, un attimo dopo tutto cambia. Per tre anni nessuno stanzia più finanziamenti per l’online. Ecco, quando dico che il tempismo è tutto. Io sono partito da zero, ero povero. Se solo avessi cominciato due settimane dopo, non saremmo qua a parlarne». Invece se ne continua a parlare, e a tappe forzate. La prima nel 2015 quando Marchetti guida la fusione tra Yoox e Net-A-Porter e diventa la leader globale nel luxury fashion e-commerce. La seconda -che è storia recente – nel 2018 quando, con una valutazione di sei miliardi di dollari, Ynap Group entra a far parte di Richemont, uno dei maggiori gruppi al mondo nel settore del lusso.

«Arrivare primi è un concetto a me molto caro. Inventarsi le cose anziché copiare. L’approccio ecosostenibile nella moda? Noi lo abbiamo iniziato nel 2009, adesso è diventato un mantra per tutti. L’idea di poter comprare direttamente dalla sfilata? Per noi risale al 2008, mentre il famoso dibattito sul See Now, Buy Now è cominciato tre anni fa. Ma forse l’innovazione che più delle altre ha anticipato i tempi è stata iniziare a lavorare sul telefonino come nostro canale di vendita principale dal 2006: era un anno prima dell’iPhone! Insomma, bisogna sempre guardare tutti dallo specchietto retrovisore». Tre milioni di clienti attivi in 180 Paesi e 2.5 miliardi di dollari di fatturato nel 2017, di cui oltre la metà tramite mobile, sembrano dargli ragione. D’altronde, la prima cosa che si vede entrando negli uffici milanesi di Yoox Net-A-Porter Group, è uno schermo che trasmette in tempo reale gli acquisti nel mondo. Nei due minuti di attesa necessari per preparare i miei documenti d’ingresso, le card di una decina di borse, qualche paio di sneakers, un piumino, un abito, due cappotti, un costume, si avvicendano con l’indicazione del luogo del clic (Manila, Tokyo, Castiglione delle Stiviere, un curioso giro nel mondo che viaggia a circa un acquisto ogni manciata di secondi. Nell’ultimo Black Friday si è superato il muro del secondo, raggiungendo un ordine ogni 0,7). «Certo ci vuole anche fortuna, ma la devi andare a stuzzicare, e prenderti dei rischi. E poi quando lavori tanto, sacrifichi per forza il tempo per te. Vivi iperorganizzato: è sopravvivenza. Gli impegni ormai sono moltissimi, perché c’è Richemont, c’è Alibaba, c’è Yoox, c’è Net-A-Porter, c’è Mr Porter, c’è Porter Magazine, c’è The OutNet… Più che Chief executive officer bisognerebbe chiamarmi Chief problem solver!» Mi chiedo fino a che punto si diversa ancora. L’e-commerce continua a crescere a doppia cifra. Difficile capire fino a quanto si potrà spostare l’orizzonte dei risultati. «Previsioni non ne facciamo. Però il mercato in cui siamo è una specie di fiume in piena, non dico inarrestabile, ma di cui noi, probabilmente, siamo solo un buon ruscello. Io non sento affatto di essere arrivato al dunque. Mi sento sempre all’inizio della storia. Diciamo che sono in un libro di dieci capito e, se va bene, sono arrivato al secondo». Nel mondo dell’online Amazon è un benchmark, insuperabile nella logistica e nella capillarità del servizio, ma il colosso Bezos vende commodity, «noi- dice Marchetti – vendiamo esperienze». Qui sta la partita del lusso e anche dell’hard luxury, orologi e gioielli, sulla cui vendita online il gruppo ha iniziato a scommettere nel 2016 («per primi»). Altri primati? «Sto lavorando da quattro o cinque anni sulle sinergie tra negozio fisico e negozio online perché il cliente è uno, sia che vada in Montenapoleone sia che vada su internet. Occorre integrare l’esperienza anche in termini di disponibilità e accessibilità al prodotto». Disruptive è un cliché della Silicon Valley, annota su Instagram. «Preferisco essere constructive, mattoncino su mattoncino, siamo in perenne fase di costruzione. Per questo mi sento ogni anno di fare un lavoro diverso». Collaborazioni con artisti che, per la prima volta, si misurano per Yoox in un campo di creatività diverso (ultimo in ordine di tempo Rob Pruit con la serie di 40 coperte pezzi unici), iniziative charity (come quella a beneficio del Franca Sozzani Fund for Presentive Genomics), sperimentazioni tecnologiche (come Daisy, l’avatar che aiuta negli acquisti, una sorta di sé virtuale che interagisce con il sé reale al di là del telefono. E proprio a Daisy e al futuro degli alter ego 3D, nostri prolungamenti sul web, è ispirata la copertina di questo numero di How to spend it, realizzata con una modella vera avatarizzata). Tante idee e tanti soldi un business gigantesco se si pensa che il fatturato complessivo dell’online nel mondo supera i 2.200 miliardi di dollari ed è parti al 10 percento delle vendite retail totali. «Sono spesso incasellato nel ruolo di businessman calcolatore, uomo di numeri, di Borsa, di grandi fusioni. Nella mia testa, quello lì è solo una parte di me. Tutti preferiscono vedere il mio lato duro, che c’è per forza, ma io mi sento ancora di più uno che ha delle idee. Uno che a 13 anni, a Londra, a Ealing, si è comprato un paio di scarponi arancioni in megasaldo (erano le Timberland prima delle Timberland). È il mio lato soft. Forse sono la reincarnazione di un vecchio negoziante del Medioevo». Aggiungici un piccolo tic verbale, indi per cui, che ripete più volte, al passaggio da una frase all’altra durante tutta l’intervista, aggiungici l’inevitabile «mia figlia è la più bella del mondo» con il correttivo «veramente ha le mani più belle del mondo!»; aggiungici ancora il fatto che non dimentica mai una domanda e torna indietro per risponderti («sì, anche il Piccolo Principe non rinunciava mai a una domanda, una volta pronunciata»): il quadro di questo lato morbido si completa. Torno per un attimo al profilo Instagram e alla piscina. Non una foto qualunque, visto che a scattarla è stato Henry Bourne. Non una piscina qualunque, visto che a progettarla, insieme a tutta la casa, amatissima, sul lago fi Como, è stato un regista come Luca Guadagnino. «Per la prima volta nella sua vita si è messo a fare l’architetto con me.

Ecco, ancora una prima volta».

Post scriptum: domani sono a Londra e dovrei ricevere il mio secondo acquisto online, questa volta su Net-A-Porter. Ho scelto la formula “you try, we wait”. Provo, tocco, guardo e tengo. Oppure restituisco. La storia continua… Come dice Marchetti, siamo appena al secondo capitolo. ?

Pubblicato su How to Spend It, Il Sole 24 Ore

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