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MFFASHION

La tecnologia salverà il pianetà

di Chiara Bottoni & Stefano Roncato, aprile 22, 2021

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Foto di Alex Majoli

«La tecnologia puo essere il cambio di paradigma che ci consentirà di svoltare verso un mondo sostenibile». Un’affermazione disruptive con la quale Federico Marchetti, chairman di Yoox Net a porter, suggella la Giornata della Terra 2021 e questo numero speciale green di MFF. Con lo spirito pionieristico che da sempre ha guidato il suo lavoro. Come ha raccontato lo stesso Marchetti in questa intervista.

In questi anni, lei è stato autore di diverse iniziative riguardanti il tema della sostenibilità ed è stato anche un anticipatore. Come si sta evolvendo l’impegno di Yoox?
Nel settore moda, siamo stati tra i primissimi a sottolineare questo aspetto. Già nel 2008 iniziai un progetto che chiamammo con il nome in codice Yooxygen, dalla crasi di Yoox e della parola oxygen, che venne lanciato in occasione dell’Earth day del 2009. Non era il solito progettino di lanciare una collezione di moda sostenibile ma tagliava trasversalmente tutta l’azienda. Nel 2009 ci siamo anche quotati e, altra follia, avevamo fatto il primo report di sostenibilità insieme al primo report di azienda quotata. Già allora spedivamo milioni di ordini e mi sono chiesto: «Stiamo spedendo dei cartoni che sono inquinanti», per cui è diventato tutto riciclato e abbiamo anche eliminato la plastica nei pacchi. Ovviamente questo significava un investimento in più e da azienda quotata voleva dire fare meno soldi e valere anche di meno. Ci fu un accordo con Green cross international (l'organizzazione ambientalista fondata dall'ex leader sovietico Michail Gorbacëv, ndr) per il lancio del progetto. Sono estremamente seri e concreti, sostenuti anche da Leonardo DiCaprio. Fu un progetto a tutto tondo, auto ibride per tutti i dirigenti e energia rinnovabile per tutta l’azienda.

Qualcuno l’ha mai fermata per chiederle cosa stesse mai facendo?
Per fortuna, non c’era mai nessuno che mi fermasse.

Quando un imprenditore è molto visionario alle volte si scontra con l’esterno…
Mi ricordo che facemmo anche un evento, venne qualche giornalista ma erano in pochi, perché effettivamente tutti si chiedevano: «Ma di che cosa stiamo parlando?». Anche il catering era quasi vegano, perché io da perfezionista avevo curato tutto, non c’era una virgola fuori posto. Questo è stato l’inizio, poi abbiamo fatto tantissimi altri progetti. Nel 2015, poi mi sono fuso con Net-a-porter e, a quel punto, come amministratore delegato di Yoox Net-a-porter, all’interno della fusione sicuramente anche la parte della sostenibilità è stata uno dei miei target. E avevo trovato che Net-a-porter fosse più indietro di noi e quindi, essendo un unico gruppo, abbiamo portato Net-a-porter allo stesso livello e alla stessa velocità che aveva avuto Yoox in materia sostenibilità. Quindi, tra virgolette, gli italiani hanno anche esportato agli inglesi le loro best practices sulla sostenibilità. Poi un fast forward tra l’inizio, la metà e la fine è stato il progetto frutto della mia immaginazione, a cui voglio bene perché riassume tutte le varie cose che ho fatto in 20 anni, che è stato il progetto con il Principe Carlo. Il Principe Carlo può piacere e non piacere, puoi ascoltare Oprah Winfrey o non ascoltarla, puoi guardare The crown oppure no, ma sicuramente è il campione mondiale della sostenibilità. Se si vuole battezzare chi sia la persona più autentica che da più anni cavalca e spinge tutto il mondo sulla sostenibilità, quella persona è il Principe Carlo, ha cominciato nel 1969.

Come?
Facendo un discorso sulla plastica, quello è stato l’inizio, c’è ancora su YouTube. Se a me nel 2009 non ha fermato nessuno, il povero Principe Carlo mi raccontava a una cena in Scozia che lo guardavano tutti in modo strano. Però lui è andato avanti e devo dire che è una persona incredibilmente autentica sulla sostenibilità, anche il lavoro che sta facendo con Terra carta.

Che rapporto avete?
Ci scriviamo lettere su lettere, è un rapporto epistolare anche divertente, devo dire che lui è una persona divertente. Insieme, abbiamo disegnato questo progetto che è nato dalla mia immaginazione e che era quello di mettere insieme dei giovani, perché entrambi siamo sempre stati linkati ai giovani e all’educazione, lui ad altissimi livelli, io un po’ più piccolino. E unire questo ai dati, che sono la mia ossessione, e alla creatività. Tutto questo impacchettato con il massimo della sostenibilità e il massimo della tecnologia, perché ogni capo aveva un passaporto digitale che ne raccontava la storia, i materiali, la narrativa di chi l’aveva fatto, le mani di chi l’aveva disegnato e costruito, che è un po’ quello che noi adesso abbiamo lanciato sulle nostre private label. E questo, dopo dieci anni da quel 2009, è stato un po’ il fiore all’occhiello e tutto è sbocciato in questo progetto.

Qual è il futuro?
Subito dopo, in realtà, noi eravamo già pronti, intendo pre-covid. Anche il progetto con il Principe Carlo doveva essere lanciato a giugno 2020, ma l’abbiamo spostato proprio per via del covid a novembre dello stesso anno. E l’altro progetto, che rappresenta il futuro di Yoox Net-a-porter e si chiama Infinity, doveva essere lanciato sostanzialmente pre-Covid, ma lo abbiamo spostato a dicembre 2020. Infinity rappresenta il futuro perché stiamo parlando di 2020-2030, Il suo grande valore è che ha pochi pilastri, quattro in tutto, pochi ma buoni: People positive, Planet positive, Circular culture e Circular business. Sono molto orientati sulla circolarità e per il nostro business, quindi per il mercato del lusso, è molto importante il fatto che il prodotto non sia usa e getta e che possa essere rimesso in circolo, cosa che se si pensa era il Dna di Yoox, perché, nel 1999, Yoox dava una seconda vita al fine stagione. In teoria, ho iniziato a lavorare sulla sostenibilità non dal 2008 o dal 2009, ma dal 1999.

In cosa consiste Infinity?
Dà pochi obiettivi concretissimi e misurabili, su cui anche noi ci misureremo. Piuttosto che di slogan o di marketing, è un progetto concretissimo, come in realtà era il progetto Yooxygen da cui ero partito, ma in quel caso era troppo presto per darsi degli obiettivi quantitativi, perché era talmente avanti che era impossibile inventarseli.

Che ruolo avrà lei in Infinity?
Per me è la mia legacy, quella che si lascia a un’azienda che si è fondato, costruito, fuso. Mi ha scritto un mio dipendente: «Nei giochi finiti, i giocatori sono noti, le regole fisse e l’obiettivo chiaro, chi vince e chi perde è facilmente individuabile. Nei giochi infiniti, invece, come il business, la politica o la vita, i giocatori vanno e vengono, le regole sono mutevoli e non c’è obiettivo definito, non ci sono vincitori e vinti ma c’è solo chi è avanti e chi è indietro». E secondo me, in 20 anni, io ho sempre lavorato in un business infinito, nel senso che ho sempre guardato i concorrenti, in realtà dallo specchietto retrovisore perché sono sempre stati indietro, proprio perché ci inventavamo noi le cose per primi. Poi continua: «I leader che abbracciano una visione infinita costruiscono imprese forti, innovative, ispirate. Chi ci lavora nutre fiducia nei confronti di colleghi e capi, sono organizzazioni dotate di resilienza, della capacità di prosperare in un universo in continua evoluzione. Sono le imprese che ci guideranno verso il futuro». È preso dal libro The infinite game (di Simon Sinek, ndr), famoso in America, ed è per dire che la mia è sempre stata un’azienda che ha fatto del cambiamento e della mutazione, dell’evoluzione un chiaro principio ispirante. Quindi Infinity per me è una legacy che immagino che continuerà, muterà e si evolverà in tutto il futuro che riguarda Yoox Net-a-porter, e sono molto orgoglioso di tutto ciò. Se si guarda alla numerologia e si vuole tirare dentro un po’ di alchimia, io mi ero immaginato in nome Yoox nel 1999, con la Y e la X che rappresentavano i cromosomi dell’uomo e della donna e le due O che potevano essere lo zero del codice binario, quindi il Dna della tecnologia e dell’umanità insieme. Adesso, con il lancio di Infinity, il processo, anche il mio processo, è arrivato a destinazione, le due O si sono messe insieme e sono diventate il simbolo dell’infinito. E quindi io mi immagino che sia la mia eredità per sempre.

La parola eredità non la spaventa? Questo progetto è stato un pezzo della sua vita…
Io sono fondatore e oggi chairman di Yoox Net-a-porter, però ho tenuto la responsabilità diretta sul team di sostenibilità, proprio per dimostrare quanto ci tengo.

Come si sente in questo ruolo? Le ha fatto strano cambiarlo?
No, perché lo avevo metabolizzato da ormai tantissimo tempo. Io ho lanciato il piano di successione, cioè ho deciso di lanciare questo piano, l’ho comunicato a Richemont e mi sono allineato con loro all’inizio del 2020. A febbraio 2020 ho annunciato il piano di successione. Dopo nove mesi abbiamo trovato un successore e comunque non è stata una sorpresa, è stata una cosa voluta, decisa, pianificata e devo dire anche con un grandissimo allineamento e da gentlemen, sia da parte di Richemont che da parte mia. È stato tutto gestito al meglio perché l’obiettivo finale è che l’azienda Yoox Net-a-porter abbia una lunga vita. Per tornare al discorso di Infinity, la longevità non è soltanto dei nostri prodotti ma la longevità a cui io tengo è quella della mia azienda che io ho fondato e io spero che, ovviamente, duri e vinca per sempre.

È anche una generosità verso il domani. Tornando alla moda sostenibile, nel ’99 ha avuto quest’idea di dare seconda vita agli stock, ha un messaggio per il presente?
Non solo avevo cercato di dare una seconda vita ai capi dello stock, ma il progetto Yoox era anche quello di rivalutarli. Un conto è cercare di dar loro una seconda vita rivendendoli a pochi euro, un conto è dar loro un contenuto artistico, perché Yoox partì proprio con un contenuto artistico e l’homepage era fatta di donne disegnate da degli artisti con vestiti immaginari, perché il messaggio che volevamo dare era: «Vèstiti con la tua immaginazione». Questo per dire che era molto ambizioso, perché non voleva dare solo una circolarità e una nuova vita, ma anche una vita più bella. Detto questo, il messaggio che mi sento di dare è che la tecnologia, di cui io un po’ faccio parte come membro di quel club di innovatori se non altro italiani, può salvare il pianeta. Se non sbaglio, Albert Einstein diceva che non si può chiedere alle stesse persone che hanno creato i problemi anche di risolverli. In una qualche maniera, o si cambiano le persone o ci si inventa dei modi nuovi per risolvere i problemi, e allora la tecnologia è sicuramente un modo nuovo per risolvere questi problemi, perché sono stati ovviamente tutti generati da noi e quindi non è così facile ripensare a tutto quello che abbiamo generato fino ad adesso. La tecnologia e l’innovazione, invece, possono essere il cambio di paradigma che ci consente di svoltare verso un mondo più sostenibile. Io sono un convinto sostenitore che sia la tecnologia la chiave di volta per avere un mondo più sostenibile.

Come può questa tecnologia intervenire nella moda?
In miliardi di modi. Un esempio è il passaporto digitale, una specie di Qr code oppure di Nft, il non-fungible token di cui adesso parlano tutti, appiccicato materialmente o virtualmente ai capi, con Bitcoin o altro. In questa maniera, la tecnologia può consentire che il tuo capo sia più longevo, perché ti può dare un’informazione anche di come ripararlo e da chi andare a ripararlo, oltre di chi l’ha fatto, il materiale con cui è stato realizzato, una trasparenza sulla supply chain che è necessaria se uno vuol essere veramente sostenibile. Tutto questo è tecnologia pura, perché senza la tecnologia questo non sarebbe possibile.

È stato dato un annuncio importante riguardante la blockchain, cioè l’accordo fra tre big, Lvmh, Prada e Cartier. Cosa ne pensa? Ci siete anche voi dentro, in parte?
Sì e io penso che sia la cosa giusta. Noi abbiamo lanciato il passaporto digitale come pilota, mentre questo accordo riguarda più il «backend», una cosa che è contigua ma che non è la stessa cosa. E secondo me, prelude a una possibilità in futuro di essere molto più sostenibili utilizzando tutte queste tecnologie. Lo vedo assolutamente come una cosa positivissima.

Sarà anche l’inizio di sinergie, di creazioni di poli tecnologici legati in un modo virtuale?
Questo non è matematico, però è una cosa buona che facciano sinergie su un ambito e un settore che può veramente aiutare anche il pianeta.

Parlava di Nft e Bitcoin, ma lei ci crede? Sarà un passo necessario anche per la moda?
La moda sta abbracciando la tecnologia sempre di più e il Covid è stato sicuramente un acceleratore in tutto questo, non c’è dubbio. Però già prima del Covid c’era un trend ben chiaro e definito, cioè il digitale e la tecnologia erano in crescita già tre anni prima. E quindi questo è uno dei vari ambiti della tecnologia che la moda guarderà con attenzione, non è l’unico.

In ambito finanziario, il Bitcoin sta prendendo piede e girava voce che qualche holding della moda stesse già pensando di realizzare delle operazioni con Bitcoin…
Come al solito ci sarà chi inizia per primo, chi segue, chi lo fa più per marketing, perché nel nostro settore oggettivamente c’è anche parecchio greenwashing, e chi lo fa con un piano a lungo termine. Quindi, come in tutte le cose che riguardano dei cambiamenti, ci sarà chi si muove in una maniera e chi si muove in un’altra.

Un anno fa avevamo chiesto anche a Stella McCartney cosa ne pensasse del fatto che molti lo facessero per una questione di marketing e lei diceva che era già buono il fatto che se ne parlasse, che il problema venisse sollevato. È dello stesso parere?
Attualmente la sostenibilità è un tema di cui si sta parlando tanto. E adesso non c’è più quasi bisogno che se ne parli solo per parlarne, cosa che magari era valida nel 2017 o nel 2018. Ora, oggettivamente, mi sembra che sia chiaro a tutti che debba esserci un impegno da parte di tutti e che questo impegno debba essere misurabile, concreto e autentico.

Ha detto misurabile, come?
Prendo per esempio il nostro piano Infinity. Noi, a seconda dei vari pillar, ci siamo dati dei Kpi concreti in termini di numeri. Come la percentuale di energia rinnovabile su tutto quello che riguarda le nostre sedi, i nostri uffici, i nostri magazzini, che deve raggiungere il 100% entro il 2021. Sarà bello, eventualmente, che questo obiettivo sia raggiunto entro il 2021. E poi ce ne è uno per il 2022, uno per il 2025. Per tornare alla domanda precedente su Stella, io penso che i consumatori e i clienti adesso siano molto attenti, complice anche il covid, alle storie vere. E siccome adesso è esploso il tema, come tutte le volte che ci sono tante cose, ovviamente devi andare anche a scremare.

Quindi ora c’è anche un consumatore preparato?
Assolutamente e soprattutto i giovani, la nuova generazione Z, per quella Alpha è un po’ presto. Mia figlia che ha quasi 10 anni è assolutamente attentissima a queste cose, lo stesso i miei nipoti che hanno una ventina d’anni e che sono avantissimo. Tutti questi nuovi consumatori e clienti, con cui dovranno fare i conti tutti i brand della moda e del lusso, sono sicuramente molto più attenti di come eravamo noi.

Gabriele Maggio, presidente e ceo di Stella McCartney, raccontava che anche i consumatori giovani asiatici sono stati molto veloci nel recepire questo messaggio…
A livello di gruppo, quindi Yoox, Net-a-porter, Mr Porter e così via, attualmente abbiamo 4,5 milioni di clienti attivi, cioè clienti che hanno comprato almeno un articolo negli ultimi 12 mesi. Quindi siamo anche una specie di istituto di ricerca e sociologia, volendo analizzare, e questa è una delle componenti più interessanti e affascinanti del mio lavoro, cioè capire quali sono i trend del consumo e qual è la psicologia del consumatore. Lato nostro, abbiamo visto che i clienti più attenti alla sostenibilità in tutto il mondo sono i tedeschi e i giapponesi. Quelli un po’ più in ritardo sono gli italiani, però, come diceva il Vangelo, beati gli ultimi perché saranno i primi.

Quali sono stati, negli anni, i personaggi che nella moda hanno lanciato un messaggio green?
Tra le varie cose, noi siamo andati a sollecitare tutti questi personaggi, ad abbracciarli e a farci anche aiutare da loro. Mi viene in mente che all’inizio noi cominciammo con Amber Valletta, che ho visto adesso che ha lanciato un progetto con il brand Karl Lagerfeld, noi siamo molto amici, ha collaborato con noi. Poi abbiamo lanciato Save the sea con Katharine Hamnett, nella mia casa al mare a Ravenna ho ancora questo borsone fatto con materiale riciclato. Poi abbiamo lavorato con Vivienne Westwood, penso che addirittura abbiamo fatto due progetti. In realtà, Livia Firth ha iniziato con noi, questo non lo sa nessuno, all’inizio di Yooxygen era la nostra consulente e collaboratrice che seguiva il progetto e che ci ha aiutato anche a lanciarlo, e in una qualche maniera le abbiamo dato un discreto avviamento, perché poi dopo ha fatto molto bene il suo.

E qualcuno con cui non ha lavorato ma con cui le piacerebbe farlo? Leonardo DiCaprio?
Pensavo dicesse Leonardo da Vinci. Leonardo DiCaprio in realtà era collegato a Green cross international. Bill Gates, sicuramente.

Lavorerebbe con Bill Gates sulla sostenibilità?
Lui è un altro di quelli seri, concreti, autentici come il Principe Carlo. Penso che siano loro due i campioni della sostenibilità nel mondo.

Due persone da cui non te lo aspetteresti a prima vista…
Le conosco tutte e due, il Principe Carlo molto bene, Bill Gates una volta sola a una cena.

Potrebbe lavorare con Bill Gates in futuro. Come con il Principe Carlo, mai dire mai…
Mai dire mai, gli ho anche regalato il cofanetto di Amarcord di Federico Fellini che avevo appena digitalizzato con la Cineteca di Bologna perché era andato a finire nelle cantine, sarebbe stato perso. Quindi con Yoox lo avevo digitalizzato e quando sono andato a cena a casa sua, nello Stato di Washington, da bravo italiano mi ero portato il mio cofanetto perché sapevo che lui è un appassionato di cinema, ha una mega sala cinema dentro casa. E in effetti, sapeva tutto di Amarcord, in che anno aveva vinto l’Oscar, chi era il regista. In realtà, forse la sostenibilità va di pari passo con la cultura.

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