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Panorama

L'uomo che ebbe l'idea folle di portare la moda griffata online

di Antonella Matarrese, marzo 28, 2021

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Foto di Ansa

Più delle tante interviste rilasciate a prestigiosi giornali e siti internazionali, c'è una conversazione leggera e profonda, breve e sincera, che di Federico Marchetti svela molto, a cominciare da una sua predisposizione d'animo «non banale», per dirla con il neurologo Oliver Sacks. Si tratta della gratitudine. Ovvero della riconoscenza verso tutti quelli che per amicizia, per business, per fiuto o per caso hanno creduto in quel trentenne bocconiano con master alla Columbia, che nel 1999 era alla ricerca di soldi, anzi capitali, per far nascere il suo progetto di business e di vita: vendere la moda griffata online, su Yoox, la start-up che vedrà la luce nel 2000. In quegli anni, di piattaforme di vendita via web ce n'erano ben poche. Di moda, poi, nessuna. Anzi, non c'erano ancora né Facebook né l'iPhone. Ad aiutarlo fu Elserino Piol, come si apprende dal breve dialogo custodito nelle Stories di Instagram (vera biografia di Marchetti) dedicate ai Venti anni e venti amici di Yoox.

Elserino Piol, classe 1931, è un personaggio straordinario, cresciuto nella factory di Olivetti, dove da semplice programmatore di macchine a schede perforate diventa vicepresidente no al '96, quando lascerà per dedicarsi completamente al venture capitalism e al finanziamento delle start-up. Sua grande missione ancora oggi. Era stato proprio Piol a far incontrare l'a.d. Carlo De Benedetti con Steve Jobs e Steve Wozniak: questi chiesero a Olivetti di investire un milione di dollari nella loro start-up in cambio del 20 per cento, e De Benedetti rispose: «Non stiamo a perdere tempo con questi due ragazzi, abbiamo cose più serie da fare».

Non reagì allo stesso modo Piol quando lei gli presentò il progetto di Yoox...
No, al contrario ne capì subito le potenzialità. Come dice lui stesso in quella chiacchierata su Instagram, «vide una prateria nella quale piantare molti alberi» e così mi diede un milione e mezzo di euro, che erano tre miliardi di lire. Era stato colpito, racconta, dalla mia personalità ma soprattutto dal business plan: su Yoox avremmo venduto non le nuove collezioni ma quelle degli anni precedenti. Era questa la novità, per lui. In realtà, col tempo, pensando al discorso della sostenibilità, al fatto che non ci sono più le stagioni e alla questione dei rifiuti, l'idea di Yoox è diventata un modello di business.

Ragionando di tecnologia, lei tira sempre in ballo la sostenibilità. È un credo del momento frutto delle mode o c'è sempre stato?
Il focus sull'argomento è iniziato nel 2008 quando inaugurai l progetto cui diedi il nome di Yooxygen: non si trattava solo di introdurre capi di moda sostenibile, ma di far diventare green l'intera azienda. Riguardava le auto ibride per tutti i manager, il packaging sostenibile, l'eliminazione delle bottiglie di plastica. Insomma un vero cambiamento aziendale, in anticipo sui tempi. Quando poi ho fuso Yoox con Net-a-porter mi sono accorto, per fortuna, che noi italiani eravamo molto più avanti rispetto agli inglesi. Così, dal 2015, anno della fusione, al 2020 ho esportato lì le nostre pratiche virtuose. Dopo tre anni, nel 2018, ho commissionato a uno degli architetti più quotati in materia, sir Nicholas Grimshaw, la progettazione del nuovo Tech hub del gruppo a Londra, fatto tutto di legno e con circa 2.500 piante.

Allineati quindi italiani e inglesi sulla via della sostenibilità.
Certo, poi nel 2020 è nata Infinity, una visione di 10 anni, no al 2030. Abbiamo buttato il cuore oltre l'ostacolo per toccare quattro punti essenziali: quelli della Circular Culture, del Circular Business, del Planet Positive e del People Positive. Sono tutti collegati e ciascuno di questi obiettivi ha un tempo di realizzazione. Per esempio, per il Planet Positive dobbiamo raggiungere il 100 per cento di energia rinnovabile per tutti i nostri edifici entro il 2021, cosa che tra poco annunceremo anche con un po' di anticipo. Per la Cultura circolare, dobbiamo lavorare sul fatto che avendo un miliardo di visitatori all’anno e 15 milioni di follower sui social media, possiamo tracciare una strada. È importante che si dionda la cultura della circolarità delle cose, senza sprechi e che si educhino le persone a non buttar via dopo una stagione i capi acquistati. People Positive, invece, riguarda le tematiche di diversità e inclusione: due termini un po' troppo abusati, ma noi siamo andati sul concreto a cominciare dal numero di donne presenti in azienda, giusto la metà nei posti di management e pagate allo stesso modo degli uomini, cosa molto rara nel panorama italiano. Nell'ambito della tecnologia, invece, tra i circa mille e 600 ingegneri, noi abbiamo il doppio delle donne rispetto alla media della Silicon Valley.

Come ha conosciuto il principe Carlo?
L'ho incontrato per la prima volta nel 2018 quando venne a visitare il Tech hub per curiosità, per capire qualcosa di tecnologia e perché voleva conoscere chi, durante la Brexit, avesse osato investire a Londra. Da lì è nata una scintilla di empatia: lui mi ha parlato delle sue scarpe che aveva da 20 anni e che erano ancora bellissime, mentre io gli ho raccontato di alcuni abiti che posseggo da tempo. Abbiamo quindi condiviso questo filone dell'alta qualità trasferibile di padre in figlio.

L'ha trovato noioso come appare dalla fiction The Crown?
Al contrario è simpaticissimo, abbiamo riso molto. Quelli erano forse altri anni. Adesso è una persona con cui è bello confrontarsi, aperta e vicina ai giovani come ho avuto modo di notare durante il periodo di condivisione del progetto The Modern Artisan. In Scozia ha creato - mi verrebbe da dire - una comune, ma forse sarebbe meglio parlare di laboratorio, che coinvolge diversi ragazzi, ex disoccupati, in progetti di diversa natura. E devo dire che sembra un posto felice. Non solo, dopo il successo di The Modern Artisan, di cui stiamo avviando la seconda edizione, i ragazzi italiani e quelli scozzesi hanno trovato lavoro in brand come Max Mara, Off White oppure hanno avviato le loro start-up.

La formazione in Italia è carente?
Quella digitale sicuramente. Noi insieme alla Fondazione Golinelli di Bologna, che rappresenta l'eccellenza in Italia sul piano dell'educazione digitale, abbiamo avviato 10 mila studenti all'apprendimento del coding, cioè della programmazione informatica. Quando Vittorio Colao mi chiamò, nella primavera 2020, per dare il mio contributo alla famosa task force di cui si è tanto parlato, il mio unico contributo, in mezzo a molte persone che discutevano di ridurre le tasse e aumentare gli incentivi, è stato quello di promuovere l'educazione e la formazione giovanile, partendo dalla distribuzione di computer, uno per famiglia. Inoltre, mi sono appassionato, in quest'ultimo anno, all'attività di mentorship per ragazzi di Paesi in via di sviluppo, ai quali ho dato consigli sulle strategie necessarie per fare impresa. Abbiamo condiviso contatti e risultati, evitando anche qualche insuccesso imprenditoriale.

«Com'è buono lei»... avrebbe commentato Paolo Villaggio
Non è bontà, è quasi un'attività di give back, forse. Io sono partito veramente da zero: mio padre era capo magazziniere della Fiat di Ravenna, mia madre, una telefonista della Sip. Ero senza una lira, con ambizioni europee autoalimentate da me stesso. Quindi mi sento in questa situazione di restituire ciò che ho avuto in questi anni sia a livello di esperienze sia di conoscenze. E insegnare mi aiuta.

Quindi farcela non è un questione di soldi?
No, né di ambiente sociale. Sta tutto nella determinazione. Anzi, concordo con Bill Gates che non vuole lasciare tutto ai gli perché devono farcela da soli. Avere troppo erode l'impegno.

Lei è stato un secchione, non è vero?
A scuola sono sempre stato mostruosamente bravo, ma mi sono anche sempre divertito. Sia a Milano che a New York, dove forse ho imparato più dalla città che alla Columbia.

Cosa l'ha colpita di Bill Gates?
La sua cultura. L'ho incontrato solo una volta a una cena a casa sua. Io mi sono presentato, da italiano educato, con un regalo. L'unico con un pacchettino in mano a casa di un miliardario. Era il cofanetto di Amarcord di Fellini da poco restaurato: lui l'ha subito riconosciuto e mi ha parlato di Fellini. Poi mi ha mostrato il Codice di Leonardo che ha in casa. Mi colpì questo binomio tra tecnologia avanzatissima e cultura umanistica.

Perché in Italia con la cultura non si fanno i soldi?
Siamo stati bravi a vendere il made in Italy, ma non la cultura. Basti pensare che Il cenacolo vinciano ha solo 4 mila follower. Bastava chiamarlo The last Soupper e ne avrebbe avuti 4 milioni. La cultura è un motore di sviluppo incredibile non ancora esplorato.

Tra le tante cose è anche consigliere indipendente di Giorgio Armani Spa. Che rapporto ha con lo stilista?
La storia con il signor Armani è una storia di sentimenti. Uno dei valori per me più importanti è quello della riconoscenza. Me lo ha inculcato molto bene mia mamma. Lei ancora oggi ringrazia e manda regali a chi ci ha dato una mano. Sono riconoscente al signor Armani perché è stato uno dei primissimi a credere in me vendendo i suoi prodotti su Yoox come test e dandomi così il la. Cosa fondamentale, perché la partenza è cruciale. Tra noi c'è un rapporto di stima reciproca e di ducia. Credo ciecamente in lui.

Che ne ha fatto il suo team iniziale?
Il team è oggettivamente tutto. Il one man show degli anni Settanta oggi sarebbe impensabile. Da soli non si riesce a far niente. All'inizio Yooxera un laboratorio creativo di persone appassionate e coraggiose. Un gruppo anarchico, molti sono rimasti con me per 20 anni e hanno partecipato al progetto economico: dopo la quotazione in Borsa nel 2009 e l'acquisizione da parte del gruppo Richemont, sono stati distribuiti più di 300 milioni di euro a circa 200 persone. Quindi il valore creato è stato anche ridato. Come è giusto che sia.

Perché ha elogiato così tanto Mario Draghi?
In questi anni, il fatto di non avere competenze era considerato un valore, ma era un'oesa per chi ha sudato e fatto sacrici per raggiungere una posizione. Con Draghi c'è un ritorno al merito e alla consapevolezza che le cose bisogna saperle fare. Chi non è in grado, vada via.

Che effetto le fa la parola povertà?
Quello di un pugno nello stomaco. Di un'ingiustizia insopportabile.

Pubblicato su Panorama

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