Médias
Recueil d'articles et d'interviews de Federico Marchetti
SETTE
Che lusso avere un'idea
di Edoardo Vigna, 27 maggio, 2016
Foto di Adolfo Crespo
«Unire gli opposti»: ecco, in fondo, la sua vocazione. «Ai tempi della scuola, erano il dovere e il divertimento». Poi, nella sua avventura imprenditoriale, la sfida è diventata quella di «connettere la moda e l’innovazione tecnologica di internet». E che altro è quella convivenza fra “Y” e “X”, «simboli dei cromosomi maschile e femminile» collegati, nel brand della sua azienda, da due “O”, simbolo d’infinito e di codice binario digitale...? Da qualche mese, infine, il suo “bisogno” di sintesi è salito a un livello globale, con la fusione, nel più grande gruppo nel mondo di e-commerce della moda, di due poli rappresentati dall’azienda da lui fondata nel 2000 - Yoox, appunto - con Net-A-Porter, il colosso ex rivale basato a Londra controllato dalla svizzera Richemont.
Beh, Federico Marchetti sembra esserci sempre riuscito.
Proprio come in un’altra delle sue aspirazioni: «Il mio ideale sono quegli scrittori americani di bestseller che hanno venduto dieci milioni di copie ma quando entrano nel ristorante nessuno li riconosce. Apparire per me non è una priorità», spiega, con un eufemismo. E, in effetti, il suo nome a molti non farà accendere subito una lampadina. Eppure si tratta di un imprenditore considerato, a 47 anni, fra i “grandi innovatori”, anche da Alec Ross, il guru per l’innovazione di Hillary Clinton, e che ora, da dietro le grandi vetrate del quartier generale milanese a pochi passi dal Naviglio Grande, muove i fili del colosso Ynap: in pochi, semplici numeri, 1,7 miliardi di ricavi (a fine 2016, secondo gli analisti di mercato, saranno due), due milioni e mezzo di clienti attivi, 7,1 milioni di ordini l’anno (distribuiti in 180 Paesi), pari a uno ogni 4 secondi, come mostra lo sfarfallio sul maxi-schermo alla reception che indica, in tempo reale, le città di provenienza degli acquisti: Santa Monica, Dusseldorf, Kyoto, Birmingham... Se anche in Italia il commercio attraverso i siti web cresce - gli ultimissimi dati che dicono che è salito dal 4 al 9%, anche se è ancora la metà di quello mondiale - il merito, di certo, è anche suo, che peraltro ragiona da sempre in termini planetari: «Il nostro primo mercato? Gli Stati Uniti», precisa.
Il “Codice” di Leonardo apre le porte. Non sarete stupiti di sapere, a questo punto, che Marchetti, che è originario di Ravenna, è appena tornato da un giro fra i big della Silicon Valley: il fondatore di Instagram, il top management di Apple... «Sa come dicono da noi in Romagna?», scherza. «Ma va da Bill Gates!». E lui, in effetti, c’è (appena) andato: a parlare di innovazione in un incontro a porte chiuse con, tra gli altri, «l’amministratore delegato di Lego e di Coca Cola», invitato direttamente dal fondatore di Microsoft. Che poi l’ha ospitato anche a cena, con Melinda padrona di casa. «Mi ha anche aperto le porte della libreria in cui custodisce il Codice Hammer-Leicester di Leonardo (di sua proprietà dal ‘94, ndr): noi di Yoox Net-A-Porter Group sosteniamo la Pinacoteca Ambrosiana di Milano, dove si trova il Codice Atlantico».
Quattro lettere, un sito diverso. Del resto, la strada lunga 16 anni che l’ha portato in California è stata tutta all’insegna dell’innovazione. «L’idea iniziale era semplice», racconta Marchetti. «La moda è un mondo che genera almeno tanti contenuti quanti Hollywood. E internet è un contenitore che ha bisogno di contenuti. Due mondi opposti: uno fondato sull’esclusività, l’altro sull’accessibilità. Apparentemente calamite che sembravano respingersi, ma per me complementari, che a un certo punto non potevano che convergere. Quando ho “visto” questa verità, non ho più dubitato. E se all’inizio del millennio, parlando di internet ai brand della moda, ti scontravi con uno scetticismo enorme, oggi non c’è imprenditore o amministratore delegato che non veda la Rete come la cosa più strategica che ci sia nel futuro».
Non che «vederlo» fosse facile come ci può sembrare ora che l’e-commerce, nel mondo, vola. «Ero nell’appartamentino milanese in cui ho vissuto dall’ultimo anno di università, davanti al teatro Dal Verme, e in cui sono rimasto fino a dopo la nascita di mia figlia, 5 anni fa», ricorda. «Mi misi a scrivere il business plan dell’azienda che volevo creare e, una sera d’autunno, dopo il lavoro (allora faceva il consulente in Bain & associati, ndr) cominciai a digitare lettere sul mio computerino per trovare il nome. Ogni dominio sembrava già preso. Provavo e riprovavo. Poi... “y-o-o-x punto com”: libero! Non ci potevo credere. Quattro lettere: meno erano e meglio era. Che il nome fosse fonetico non mi interessava: viviamo in un’epoca visuale. Sulla difficoltà degli italiani di pronunciarlo, poi, ci ho giocato tanto, con il postino di Bologna che apre tutte le “o”! Ma altrove, a cominciare dai giapponesi, lo sanno dire perfettamente».
“Yux”. «Inoltre, il nome era neutrale, soprattutto rispetto all’Italia. Se il contenuto (i prodotti fashion in vendita attraverso il sito, ndr) era made in Italy, ma non solo, volevo soprattutto creare un contenitore di e-commerce “locale”, che facesse sentire tutti a casa propria, in modo che i parigini come gli abitanti di Tokyo pensassero che l’azienda fosse nativa del luogo in cui si trovavano. Per sicurezza, ho fatto un test fra gli amici su qualche altro nome: ebbene, è stato lì che ho capito che tutti prendono la strada più standard. Più “vista”. D’istinto feci il contrario. E differenziarsi fu una scelta decisiva: se avessimo optato per nomi tipo “hotbrands.com” o “prezzisbarrati.it”, ora non saremmo dove siamo. Caratterizzammo Yoox come un mondo particolare: non come un discounter, quale in effetti era nel giugno del 2000, ma come uno spazio dove trovare una selezione fatta bene di prodotti eventualmente anche a prezzi scontati. L’aspetto del costo non era la parte fondamentale. Invece puntammo a costruire un brand diverso attraverso collaborazioni e contaminazioni con artisti, architetti, designer... Da Ettore Sottsass a Lady Gaga all’ex punk dei Sex Pistols Malcolm McLaren, che desiderava lanciare un progetto di abiti per bambini ispirato ai videogiochi vintage come Packman. Costruimmo un immaginario inconsueto, per il settore del commercio online, fondato su un approccio culturale, più genere Fondazione Prada che da retailer classico. L’obiettivo era sempre sorprendere i clienti, fare in modo che si chiedessero: perché ci mostrano una vecchiettina di 90 anni? Il fatto era che, ai clienti giovani, stavamo raccontando la vita di quella donna con Matisse e Picasso, quando a Parigi aveva fondato la rivista d’arte L’Oeil. Devo anche dire che questa è anche la parte che mi diverte di più. Bilancia la parte “business” del mio cervello, che guarda alla borsa, agli investimenti, agli azionisti».
La strategia, comunque, funzionò. Questa, dall’alto di un fatturato plurimiliardario, è storia. «Soprattutto», continua Marchetti, «nel 2005 ci ha permesso di fare il salto in alto: l’innovazione nell’innovazione. Allora avevo cominciato a pensare: perchè questo expertise nell’e-commerce della moda non lo mettiamo direttamente a disposizione di stilisti e designer per il loro negozio web? Ho impacchettato il tutto e ho iniziato a vendere alle griffe l’idea dei “monomarca”: abbiamo cominciando creando marni.com e armani.com, che aderirono proprio perché avevano capito che lavoravamo sulla qualità e non sul prezzo. E oggi, i monobrand rappresentano il 10% del nostro business. Soprattutto, lavoriamo a braccetto con i grandi marchi per fare piani strategici di 5-10 anni insieme con loro».
Tutto ha avuto inizio, comunque, a Ravenna, dove vivono ancora gli amici «più cari» di Federico Marchetti: quelli dell’infanzia. «C’è chi gestisce l’utensileria che era del padre, chi continua l’attività della azienda meccanica di famiglia e chi invece lavora al bagno al mare a Marina di Ravenna. Per festeggiare con loro il mio ultimo compleanno, ho preso l’aereo alle sei della mattina da Londra, dove ero per un evento». Andavano insieme in piazza. «Ci auto-chiamavamo, all’americana, Clockers, perché stazionavamo sotto la torre dell’orologio. Era la vita di provincia, c’erano anche i Surfers, la vespa, le ragazze, il divertimento... Però, fin da bambino mia madre – telefonista alla Sip come era stato suo padre, mentre mio padre era capo magazziniere alla Fiat – mi aveva anche abituato a fare di tutto. Mi portava in piscina, poi, con gli occhi rossi per il cloro, andavo a fare solfeggio di pianoforte, che ho abbandonato rapidamente, e dopo andavo a judo… Da teenager tutti i giorni giocavo a tennis, agonistico, erano gli anni di Borg, McEnroe e Connors. Ecco, la mia efficienza viene da quell’insegnamento. Il fatto è che anche a scuola andavo benissimo: tutti gli anni mi ripromettevo di prendere solo sei - perché i “mostri” non hanno successo con le donne – ma non c’era niente da fare». En plein di dieci. «Mi rifacevo d’estate, al mare, quando incontravo le turiste che non mi conoscevano: la mia prima fidanzata è stata una ragazza di Brescia. Ma è in quel momento che il senso del dovere e della responsabilità – sommato al lavaggio del cervello che mia madre, molto cattolica, mi faceva tutte le volte che uscivo di casa, “Comportati bene, sii sempre onesto”– ha imparato a convivere con la mia parte più creativa».
Quell’estate a Biarritz. Già allora, infatti, il futuro re del luxury fashion e-commerce cercava di cogliere l’onda verso il futuro. «Immaginavo sempre cose nuove con un risvolto di business... All’università, quando vidi i primi, enormi telefonini, pensai: perché non ci mettiamo dentro anche una macchina fotografica? Ma non ero un ingegnere e naturalmente non ne feci nulla. Altre idee di allora sono inenarrabili... Oggi mi vengono soprattutto quando sono nell’acqua. Ecco perché sono uomo da vasca e non da doccia». Intanto, però, Marchetti aveva preso la sua direzione. Economia in Bocconi. «Volevo fare medicina a Bologna, ma quello era il primo anno di numero chiuso. E per me l’estate dei 18 fu anche l’anno del viaggio della vita, fatto con gli amici in furgone Mercedes color aragosta preso a nolo…». L’Europa on the road. «Fino a Biarritz, in campeggio, poi giù in Spagna, a Tarifa, tutti con il surf dentro il pullman e i capelli lunghi». Altro che studiare per il test.
La magia delle “sliding doors” era scoccata, la direzione presa. Il primo anno a Milano in collegio dai preti, poi in un monolocale sui Navigli con il bagno al piano, fuori casa, fino all’Mba a New York, alla Columbia University, «gli anni più spensierati della vita, dovere e piacere perfettamente fusi». A completare il curriculum, prima del battesimo di Yoox, un’esperienza in Lehman Brothers, «dove ho imparato metodo, analisi» e tre mesi in Bain, consulenza. «Non mi assegnarono, come volevo, al settore della moda, la mia passione, ma gli sono riconoscente: se non fosse stato per la disperazione che mi scatenò, non so se mi sarei buttato».
Umano e digitale. Differenziarsi è sempre stato un chiodo fisso. «A partire dal Sì Piaggio, che era il mio motorino, ma con i raggi vecchia maniera e non con quelli in lega, che costavano anche di più. Andavo a Lugo di Romagna, in un negozio che si chiamava Angelo, che aveva cose, come un cappuccio scozzese, che indossavo solo io. Nella vacanza-studio a Londra, a 13, in un brutto negozio di scarpe vidi in vetrina un paio di scarponcioni arancioni scontatissimi: erano le Timberland, tre anni dopo le avrebbero indossate tutti». Quando digitò Yoox, né lo scoppio della “bolla” di internet né l’attentato alle Torri Gemelle lo fermarono. «Capivo che il mondo sarebbe andato là», ricorda adesso.
«Là» è, appunto, il commercio online che vola in molti Paesi del mondo. Ynap ora ha un modello di business che sviluppa negozi online che vendono prodotti multimarca “in-season”, della stagione in corso, (Net-A-Porter.com, Mr.Porter.com) e “off-season” (Yoox.com e TheOutnet.com), oltre a quelli monomarca gestiti per i brand del lusso. «Nel 2000 sembrava che ogni cosa sarebbe diventata “digitale”, poi, a marzo-aprile del 2000, è esplosa la bolla, e tutto sembrava finito. La verità sta un po’ sempre nel mezzo. Oggi è così. Per i brand, il monomarca online rappresenta in media il 5% del fatturato. E la percentuale non può che crescere di anno in anno. Però resterà sempre l’80, o il 75%, sviluppato nei negozi fisici», prevede Marchetti. Che aggiunge: «Anche per la carta stampata vale il ragionamento: ci sarà piuttosto una differenziazione, ma i giornali che fanno approfondimenti resteranno sempre. Il punto è che non c’è una cosa che ne sostituisce un’altra per definizione: lo farà solo se è davvero migliore. Piuttosto, credo che ci sarà sempre una convivenza. E tutto sarà legato».
Con uno strumento chiave, però, che collega tutti gli scenari: lo smartphone. «Sarà semplicemente il “tramite” che unirà i vari mondi. Già oggi, quando facciamo pubblicità in tv, registriamo un picco di ordini via cellulare. La gente sta sul divano, guarda gli spot e va sul telefonino a comprare. Lo stesso vale sulla stampa: noi abbiamo un magazine “shoppabile”, che si chiama Porter. La tecnologia è ancora primitiva, ma fra 5 anni, continueremo a sfogliare i giornali, e quando troveremo un prodotto che vogliamo acquistare, basterà farci scivolare sopra il telefonino per fare l’acquisto». Insomma, diventerà ancora di più il nostro “terminale”. «Con le controindicazioni immaginabili, visto che lo usiamo già tanto. Ma io non voglio che la tecnologia prenda il sopravvento. Yoox è un nome umanistico: è il dna dell’umanità che racchiude la tecnologia, non il contrario. Pensi che il mio film preferito è 2001 Odissea nello Spazio». Lì c’è il computer Hal che impazzisce. «Ecco, da noi in Ynap l’algoritmo non comanda, è solo un utile strumento di lavoro che, certo, aiuta i buyer a conoscere i gusti e le preferenze dei clienti, e ad analizzare lo “storico”. Ma poi c’è sempre una persona dietro lo screen, a decidere».
Quest’anno, comunque, saranno 150 i milioni di euro investiti da Ynap alla voce “ricerca & sviluppo”. Proprio mentre procede l’unione tra Yoox e Net-A-Porter. «Due aziende perfettamente complementari: loro sono più sul marketing, noi sulla tecnologia; loro sono più glamorous e noi più sul design. Un mosaico perfetto, sulla carta. Poi, certo, in mezzo c’è l’esecuzione», aggiunge. L’ennesima “unione di opposti” che sembra guidare il karma dell’imprenditore ravennate? Che, all’incontro con Gates, è andato per condividere anche una delle regole base che ha imparato, nella sua attività, sull’innovazione. Quale? «Che la semplice verità è che in un’organizzazione non puoi pretendere che tutti siano innovativi. Così, ci sono persone che hanno un preciso mandato di innovazione, e in azienda devono essere lasciate libere di creare, senza problemi di politica o di budget. E poi ci sono quelle, importantissime per un’azienda di e-commerce fondata su dati, meccanismi, tecnologia e logistica, che devono consentire un’execution perfetta, visto che è lì che noi garantiamo i nostri clienti e i nostri brand». Ynap ha il 99,4 % di consegne on time su oltre sette milioni di ordini. «Vuol dire che, dietro ci deve essere un orologio svizzero. Però, poi, c’è anche un terzo gruppo, che sta in mezzo e ha un mandato sia di esecuzione sia di innovazione». Indovinate a quale gruppo appartiene Marchetti?
Pubblicato in Sette del Corriere della Sera.