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VANITY FAIR ITALIA, Luglio 2021

Voglia di sfidare l'impossibile

di Simone Marchetti, luglio 21, 2021

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Foto di Guido Taroni

Federico Marchetti non è un sentimentale. Eppure, questa volta, gli occhi tradiscono l`emozione «Ho scelto di parlare prima di tutti con Vanity Fair», esordisce. «È un momento particolare che ancora non so come gestire. O meglio, so come farlo da manager. Ma da uomo, da padre, è tutt`altra cosa». Il 23 luglio, dopo 21 anni, il fondatore del Gruppo Yoox Net-A-Porter lascerà definitivamente la sua creatura. Si tratta di un unicorno italiano, un colosso delle vendite online di moda, di design e d`arte che ha fatto scuola in tutto il mondo scrivendo un pagina di futuro digitale in un momento in cui tutti erano ancora sprofondati nella preistoria dell`analogico. Per capire la sua parabola, bisogna partire da lontano.

Che bambino era?
«Un bambino divorato dall`immaginazione. Ricordo i colloqui di mia madre con gli insegnanti. "Signora, ma suo figlio dove trova tutta questa immaginazione?`: Non se ne facevano una ragione. E non ero nemmeno un grande lettore di libri. Le visioni, le fantasie erano naturali. Come riuscire a scuola: leggevo, imparavo, prendevo tutti dieci. Ma non ero un secchione: giocavo a tennis, andavo in Vespa con gli amici, ci chiamavamo i Clockers perché ci ritrovavamo sotto la Torre dell`Orologio a Bologna. Era come se fossi predisposto per l`immaginazione».

Predisposizione, fortuna, volontà. Cos`ha contato di più?
«La volontà di cambiare le cose. Certo, la predisposizione influisce: quando guardo mia figlia Margherita, che ha 10 anni, mi sorprendo a vedere tante cose di me, persino come mette il piede sinistro un po` spostato verso l`interno, come faccio io. Ma non credo alla predisposizione. E nemmeno alla fortuna. Per me contano coraggio e volontà. La voglia di osare, di sfidare l`impossibile, di andare controcorrente. Ho sempre voluto cambiare le cose. Innovare significa cambiare le cose prima che queste accadano. E Yoox è accaduto prima di Twitter, di Instagram e quando Netflix vendeva ancora videocassette.  Io non ho fatto altro che unire la mia immaginazione di bambino con la mia voglia di innovare».

Ogni innovatore è sempre solo. Ha mai sofferto la solitudine o la paura di sbagliare?
«Mai. Avere coraggio vuol dire non avere ansie. E la visione ti toglie i dubbi. Se sei convinto che la tua visione succederà, allora non hai paura del breve termine e impari ad attendere tre, quattro, anche dieci anni. Perché sai che quello che sta tra te e la tua visione è solo una digressione. Il mese dopo aver fondato Yoox è esplosa la bolla di Internet e nessun investitore voleva nemmeno più incontrarmi. Guardavano all`e-commerce come a una malattia. Ciò che conta è la visione di lungo termine. È questa la differenza tra un imprenditore illuminato e un manager che pensa solo alla trimestrale e al bonus di fine anno».

Economia e finanza continuano a ragionare così.
«Sì, è vero, c`è una forte interferenza del breve termine in ogni investimento. Ma io ho un`altra idea di business: tutte le mie strategie sono sempre state importante a immaginare come sarà il mio cliente tra cinque anni. Chi guarda al breve è perduto».

Si laurea alla Bocconi, frequenta la Columbia University  a New York e poi, nel 1999, torna a Milano. Com`è nata l`idea di Yoox?
«Devo ringraziare mostruosamente la società di consulenza Bain & Company che mi diede impiego a Milano dopo che avevo inutilmente mandato il mio curriculum a molte case di produzione nel mercato dell`intrattenimento. Il mio impiego in Bain mi piaceva talmente poco che alla sera, tornando a casa, non potevo fare altro che dedicarmi a scrivere il business pian di Yoox. Non riesco a lavorare in aziende con dinamiche troppo politiche o istituzionali, perché nelle grandi organizzazioni è impossibile innovare».

Quanto è stato difficile far capire la tecnologia al mondo della moda?
«Qualcuno l`ha capito subito, come Giorgio Armani. Altri ci hanno messo anni. Fin dal 2000, per esempio, ho scritto infinite lettere a Patrizio Bertelli di Prada senza avere mai risposta. Poi, finalmente, nel 2015 mi ha risposto e ha cambiato idea. Il grande sbaglio di molti, forse, è stato non capire che la tecnologia è umana. Non è fredda, non è astratta, non è lontana. È umana».

Ha avuto la fortuna di incontrare grandi personalità del mondo dell`innovazione. Chi l`ha più colpita?
«Steve Jobs, che era tostissimo. Jonathan Ive e Tim Cook, che possiedono la semplicità dei grandi, quella capacità di incarnare il sogno americano con disarmante grandezza. Bill Gates, che mi ha stupito per la preparazione culturale. Kevin Systrom, fondatore di Instagram, che al contrario mi è sembrato interessato solo alla propria bicicletta. E Jeff Bezos, di cui ricordo la risata da orco. Lo incontrai col suo staff, un plotone di esecuzione seduto a un lato del tavolo e io, da solo, all`altro. Per rompere il ghiaccio, faccio una battuta e Bezos inizia a ridere fragorosamente. Mi dico: "Sono meglio di Berlusconi, l`ho fatto ridere`. Poi, invece, ogni cinque minuti tornava puntuale la sua risata. Ma non c`è solo hi-tech, c`è anche il cinema, la grande amicizia con Luca Guadagnino, gli incontri con Sophia Coppola e James Ivory, la stima di Giorgio Armani».

A proposito. Lei siede nei Consigli di amministrazione di Giorgio Armani e del Gruppo Editoriale Gedi.
«È stato un onore essere chiamato da Armani. È un confronto incredibile: è un visionario, un imprenditore illuminato, il primo a chiudere le proprie sfilate all`inizio della pandemia, il primo a riaprirle a Milano e Parigi con l`appoggio di Sergio Mattarella ed Emmanuel Macron. Col Gruppo Gedi abbiamo intrapreso un bellissimo progetto, Digitali e Uguali, raccogliendo più di mezzo milione di curo per distribuire computer a bambini che non se lo possono permettere».

Armani e la famiglia Agnelli: si parla di vendita del marchio di moda, di voglia di creare un gruppo del lusso italiano.
«La recente intervista di Giorgio Armani a Vogue America spiega proprio il desiderio di pensare al futuro, a un futuro tutto italiano».

Si farà l`affare?
«Le do un`altra risposta. Penso che Giorgio Armani, come me, stia pensando al futuro della sua creatura. Quando lo fai, devi fare un passo indietro e non pensare più a te ma a lei. Aver permesso a Yoox di nascere, di crescere, di fondersi, di diventare un player internazionale e ora di camminare con le proprie gambe, penso sia la scommessa più grande. La longevità della tua creatura è il massimo pilastro della tua carriera».

La risposta è molto bella, ma lei evade la domanda. Cosa ci vuole per fare un vero gruppo del lusso italiano?
«Meno personalismi. Grandi capitali. Qualcuno che faccia da ponte, da intermediario tra i personalismi del Fashion System. E una vera cultura manageriale di moda».

Ha mai pensato alla politica?
«Mai. Preferisco muovermi da imprenditore. E anche come mentore. Le prossime sfide sono due. La prima, grande: il mio caro amico, il principe Carlo, mi ha chiesto di partecipare al progetto Sustainable Markets Initiative, voluto insieme al presidente Emmanuel Macron e sovvenzionato da Bank of America, dove sarò presidente della task force sulla moda sostenibile. E a settembre sarò professore all`Università Bocconi di Milano: è importante educare la nuova generazione di imprenditori perché siamo al penultimo posto in Europa nell`imprenditoria under 40. Il mio obiettivo è dare confidenza a chi non ne ha e insegnare che non si deve cercare un lavoro, si deve creare un lavoro».

Com`è lasciare Yoox dopo 21 anni?
«Ho deciso io, tre anni fa, di lasciarla. Ho organizzato la mia uscita. Col management di Richemont, ho trovato il mio successore. L`ho aiutato, l`ho presentato ai vari brand. Sono tre anni che sto elaborando questo lutto. Ciononostante, sentimentalmente è un lutto. Tant`è che certe volte mi sveglio alle cinque di mattina con sogni su Yoox, sulle persone, sull`ultimo giorno».

E come sarà dopo l`ultimo giorno? Cosa farà la mattina del 24 luglio?
«Considerando che è un sabato, sarò nella mia casa sul lago di Como. Alla mattina, prenderò mia figlia Margherita e andremo con il gozzo a farci un bagno. L`acqua è sempre stata il mio elemento catartico perché ti insegna a farti scivolare addosso ogni cosa. Alla fine, tutto scorre, no?».

Pubblicato su Vanity Fair Italia. 

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