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la Repubblica

A Westminster ho visto il nuovo in questo rito antico

di Federico Marchetti

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Per un attimo ho pensato: me la perdo. Era ancora sereno, il cielo, quando alle 7.30 del mattino mi sono avviato a piedi verso Westminster. Una passeggiata via via resa più difficile dai controlli finché, sotto il Big Ben, me la sono vista brutta: un poliziotto ostico non voleva farmi entrare. Ho rischiato di perdermi l’Incoronazione. Alle 8.30 eccomi lì: pass giallo uguale navata centrale, i posti migliori. Ho perso le prime tre file ma ho conquistato un posto nella quarta. Poi, è iniziato tutto.


Le scelte etiche e il pubblico multiculturale

Ho conosciuto il re nel 2018, quando era ancora Principe del Galles, e oggi sono qui che assisto a un pezzo di storia. La sua incoronazione è la prima di un’epoca moderna, dove la monarchia si confronta con nuovi parametri: apertura, inclusività, velocità, sostenibilità. Lui vuole un regno in sintonia con le sue convinzioni e col mondo che cambia: multiculturale e attento alla diversità. L’atmosfera è solenne, la ritualità perfetta, tutto è sincronizzato, elegante con una gestualità antica e allo stesso tempo semplice, fluida. Dietro la regia capisco ci sia lui, l’uomo che so essere così scrupoloso. Tutto lo rispecchia, dalla scelta etica di usare un olio sacro arrivato da Gerusalemme, prodotto senza grassi animali, all’invito su carta riciclata. L’ho osservato, durante il rito: il re in quell’espressione seria che assume quando è concentrato. Camilla era a suo agio, Kate bellissima. Ho visto passare Harry, solo, seduto più indietro del fratello William che ha baciato il re durante il rito: era previsto? L’ho trovato molto umano. Più dei reali mi colpiscono altre presenze: il pubblico è multiculturale, il desiderio del re di avere i rappresentanti delle altre religioni è una scelta importante.


Com'è nato il mio rapporto con Carlo

L’ho visto emozionato nel ricevere lo scettro dalla baronessa Floella Benjamin e nel mentre mi sono detto: che ci faccio qui? Oltretutto con un mezzo tight che l’amico Brunello Cucinelli mi ha fatto confezionare, facendomi sentire anch’io un re. Mi sono anche chiesto come mai un imprenditore senza titoli come me sia finito tra re e regine, sottraendo l’invito a uno dei nobili che ogni giorno, sui tabloid inglesi, si sono lamentati di non averlo ricevuto. La risposta sta nel rapporto che si è creato con Carlo dal primo giorno in cui abbiamo deciso di lavorare assieme. Io ero amministratore delegato di Yoox Net-a-porter quando abbiamo creato The Modern Artisan, linea per dare nuovo impulso ai giovani artigiani dotandoli di strumenti come l’intelligenza artificiale. Dopo mi chiese di entrare nel consiglio di amministrazione della sua residenza Highgrove, un posto con giardini e orti che producono alimenti biologici. Vi abbiamo passeggiato assieme, lui chiamava ogni albero col suo nome. Poi divenni membro del consiglio di amministrazione della Prince’s Foundation e al World Economic Forum a Davos, nel 2020, quando Carlo annunciò il Sustainable Markets Initiative per coinvolgere il settore privato in progetti di sostenibilità ambientale, mi chiese di guidare la task force moda.

È stato complesso come mettere assieme una squadra per il campionato: abbiamo riunito 15 amministratori delegati di grandi brand, da Armani a Cucinelli, da Chloe del gruppo Richemont a Stella McCartney di LVMH, ad altri marchi vicini alla Corona come Burberry, a retailer online o offline come Zalando, The Dubai Mall e Selfridges e a start up americane. È un gruppo diversificato perché penso che la diversità possa aiutare a imparare più velocemente. Con loro ho lanciato due grandi temi: il passaporto digitale e la moda rigenerativa. Il primo lo avevo sperimentato proprio con il progetto “The Modern Artisan”; dalle ricerche, i consumatori dicevano di voler comprare sostenibile ma di non sapere come farlo. Ho pensato che dovevamo dar loro uno strumento perché non avessero più questo alibi. Il passaporto digitale funziona in maniera semplice, con strumenti basici come un QR o più completi come la blockchain, e svela tutto il percorso di un capo, dalla A alla Z: da dove viene? Come è fatto? Come si ricicla? Come si ripara? Per una vera moda circolare, in antitesi alla moda lineare o peggio ancora “usa e getta”.


Un pioniere della sostenibilità

Con questa mia innovazione, insieme agli amministratori delegati membri della Task Force, sto rivoluzionando ancora una volta il mondo della moda e il Re, vero pioniere della sostenibilità, ha abbracciato il progetto perché tra le cose che più ha a cuore, c’è proprio la longevità di un capo. Insomma, guardatelo, sappiamo tutti che indossa lo stesso cappotto da 40 anni e le stesse scarpe da 20. Il suo motto è “Buy better, buy less”, il fulcro di ogni teoria sulla sostenibilità e l’opposto del fast fashion, che porta – lo dicono i dati – nel 40 per cento dei casi a non indossare neppure una volta i capi acquistati. Il passaporto è già un impegno concreto, via via i membri della Task Force lo stanno implementando e nell’arco di 12 o 18 mesi si uniranno anche tutti gli altri, anticipando persino la Commissione Europea, che nel marzo 2022 l’ha imposto entro un lustro a tutti i brand del tessile.


Un uomo del fare

Veniamo poi alla moda rigenerativa. Cosa vuol dire? Significa spostarsi a monte della filiera, per adottare processi e metodi innovativi come nuove tecniche di coltivazione, nuovi strumenti per l’irrigazione, e applicare principi di biodiversità per il recupero di un terreno depauperato dalle colture intensive e dai fertilizzanti chimici. Significa andare lì dove nasce il processo della moda per produrre materiali organici garantendo un lavoro dignitoso ed equamente retribuito alle popolazioni locali. Un po’ come ha fatto Brunello (Cucinelli) con il suo progetto in Himalaya per ripristinare paesaggi degradati e recuperare le abilità artigianali delle comunità. E anche questa iniziativa, come il passaporto digitale, è concreta: “Abbiamo i primi 5 kili di cashmere!” mi ha detto solo poco tempo fa Brunello. Con oltre un milione di alberi piantati e migliaia di persone nomadi cui è stato garantito un lavoro. Ecco, queste sono iniziative che possono cambiare il modo di fare le cose. Penso di piacere, al re, perché mi vede un po’ come il suo “uomo del fare”. Ci si aspetta che un Re sia un uomo di grande cultura, cosa che di certo è. Ma lui è anche uno che ama costruire nel concreto. Io sono un imprenditore tecnologico (e un pioniere della moda sostenibile, dicono), il mio contributo consiste nell’applicare l’innovazione alla sostenibilità affinché acceleri il percorso di un’azienda verso un futuro green. Come ho fatto nel ‘99 con Yoox e poi con Net-a-porter. La differenza è che non lavoro più per la mia azienda; il re mi ha dato uno scopo più alto. Un impegno pro bono che voglio pensare come un contributo al bene del pianeta e al futuro di mia figlia.


Il mio regalo per Carlo

Il sorriso di Carlo durante la Coronation è arrivato con il coro gospel, mi ha commosso. Uscendo pioveva, così Edward Enninful mi ha dato un passaggio e lì con lui, in auto, ho deciso che il mio regalo per Carlo e Camilla fosse giusto: un albo che raccoglie i semi degli ortaggi italiani, dal carciofo romano alla cipolla di Tropea. Molti mi chiedono che re sarà, Carlo III. Quando prima del Cop 27 ha invitato tutti i leader a Buckingham Palace, mi sono fatto un’idea: ha parlato di ambientalismo la prima volta nel 1970, quando io avevo un anno, e se uno per 53 anni si prende a cuore una causa non la mette facilmente nel cassetto. È mosso da grande passione, continuerà ad occuparsi di ambiente in modo consono al ruolo. Carlo è un re rivoluzionario perché anche per l’incoronazione ha deciso di mettere la meritocrazia davanti all’aristocrazia: cosa fai è più importante di chi sei, l’azione vince sui bla bla.


Pubblicato su Repubblica.it

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