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MF Fashion

La sfida green di Armani

di Andrea Guolo

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Il gruppo da 2,3 miliardi rilancia sul cotone made in Italy da coltura rigenerativa con il raddoppio del raccolto in tre anni dall’avvio del progetto in Puglia. «C’è un senso di responsabilità nell’impegno che abbiamo assunto, raccogliendo gli spunti di Federico Marchetti e di Re Carlo», afferma l’ad Giuseppe Marsocci alla sua prima uscita pubblica.

Armani rilancia gli investimenti sul cotone made in Italy da coltura rigenerativa, frutto del progetto Apulia regenerative cotton promosso dal gruppo milanese da 2,3 miliardi di ricavi 2024 con la Smi fashion task force fondata da Re Carlo III° e guidata da Federico Marchetti, in collaborazione con Cba-Circular bioeconomy alliance e coordinato da Efi-Istituto forestale europeo insieme a Crea e Pretaterra. In tre anni, la superficie coltivata a Rutigliano (Bari), all’interno dell’azienda sperimentale Venezian-Scarascia gestita da Crea-Centro di ricerca agricoltura e ambiente, è quintuplicata, da uno a cinque ettari e il raccolto è più che raddoppiato. Il primo risultato di questo progetto di rilancio delle filiere agricole Made in Italy per il fashion, che ha proprio nella Puglia un punto di riferimento grazie anche agli investimenti di altre realtà, è già presente nelle boutique europee a marchio Giorgio Armani (Regno Unito e Svizzera escluse) sotto forma di T-shirt realizzate con il cotone della provincia di Bari.

Il progetto quindi sta procedendo a velocità superiore rispetto alle previsioni iniziali, considerando che a oggi sono stati già raggiunti gli obiettivi inizialmente fissati per il 2027. E l’importanza di questa operazione per il gruppo fondato dallo stilista, scomparso lo scorso 4 settembre, è stata testimoniata dalla presenza a Rutigliano dei vertici della società milanese, con tanto di prima uscita pubblica dell’amministratore delegato Giuseppe Marsocci la cui nomina è stata ufficializzata il 16 ottobre, dopo 23 anni trascorsi in Armani di cui gli ultimi sei con il ruolo di vice-direttore generale e global chief commercial officer. Con Marsocci, il gruppo era rappresentato da Andrea Camerana, componente del cda e nipote del fondatore, e dalla direttrice della sostenibilità Rossella Ravagli, oltre naturalmente a Federico Marchetti, oggi non solo alla guida della task force per la transizione ecologica voluta dal sovrano del Regno unito, ma anche esponente del board di Armani. Proprio il fondatore Giorgio Armani era particolarmente legato al progetto di rilancio della filiera del cotone made in Italy, come ha ricordato Camerana a Rutigliano in occasione della giornata organizzata per presentare il terzo raccolto di Apulia regenerative cotton.

«Quando parlavamo di sostenibilità, i risultati ottenuti in Puglia erano tra le cose che ci chiedeva sempre. E lo scorso anno, in occasione del secondo raccolto, gli portammo un bouquet di queste infiorescenze, con cui si fece fotografare», ha affermato Camerana. Del resto, il cotone è il materiale più importante e più utilizzato all’interno del gruppo per il confezionamento dei capi di abbigliamento, specializzazione prevalente e che contraddistingue la società fondata da Giorgio Armani rispetto ad altri colossi del lusso più legati all’accessorio e alle pelli come materiali principe. «Queste T-shirt stanno riscuotendo un notevole successo negli store dove abbiamo testato la vendita, con un sell through superiore alla media dei prodotti stagionali», ha affermato l’ad Marsocci, specificando che la distribuzione è iniziata lo scorso 17 luglio quando già nei punti vendita, oltre al residuo delle collezioni estive, erano già esposte le prime novità dell’autunno-inverno in corso. E ha aggiunto che: «C’è una forte componente di senso di responsabilità nell’impegno che abbiamo assunto in questo progetto, raccogliendo gli spunti di Federico Marchetti e di Re Carlo».

Il lancio delle T-shirt certificate Regenagri, standard sottoposto a rinnovo annuale, e tracciate attraverso un sistema di Qr code ha rappresentato, come ha ricordato la direttrice della sostenibilità di gruppo Armani, Rossella Ravagli: «L’unione di due sfide, quella della coltura rigenerativa e del passaporto digitale». Sfide che Armani ha affrontato lavorando per un rilancio della supply chain italiana coinvolgendo dapprima una delle ultime realtà specializzate nella cosiddetta ginnatura ovvero la prima operazione che si effettua partendo dal frutto della pianta e che per i primi due raccolti è stata effettuata in Sicilia, per poi arrivare alla filatura, altra fase che poche realtà continuano a effettuare in Italia, attraverso la collaborazione con un proprio fornitore di tessuti. La novità del terzo raccolto è che anche la ginnatura verrà effettuata in Puglia, dove nel frattempo è sorto un impianto specializzato per iniziativa di Hmoda attraverso il progetto Itaco della controllata pratese Beste.

La scelta del metodo rigenerativo per la coltura del cotone pone l’asticella a un livello superiore rispetto alla coltivazione bio, perché permette di rigenerare i suoli degradati e di ottenere quantitativi simili a quelli dell’agricoltura convenzionale, con una riduzione non solo dei consumi idrici, ma anche dei costi di produzione rispetto al metodo biologico. «Questo è un progetto a lungo termine, sostenuto personalmente da Giorgio Armani il quale, alla sua età, aveva la capacità di guardare al futuro e di pensare ai prossimi dieci anni», ha affermato Federico Marchetti. Dal 2020, anno in cui prese il via l’attività di Smi fashion task force per volere dell’allora Principe di Galles poi salito al trono britannico, sono stati coinvolti cinque gruppi fashion italiani: ad Armani e Brunello Cucinelli si sono aggiunti Prada nel 2024 e, dallo scorso febbraio, Otb group e Hmoda. E ai due progetti già avviati, quello del cotone rigenerativo in Puglia con Armani e quello del cashmere rigenerativo in Himalaya con Cucinelli, se ne aggiungerà presto un terzo, per ora top secret, che riguarderà un altro materiale da filiera italiana e un terzo brand sempre italiano.

Dalla Puglia al Veneto, in Italia tornano le colture tessili.

Il tentativo di rilancio della filiera, a partire dalle colture, va interpretato da un lato come un modo per ridurre la dipendenza dalle fonti estere che, nei momenti di shortage, determina l’impennata dei prezzi che crea problemi enormi alle aziende tessili e manifatturiere; dall’altro, è importante anche in termini di ricerca e sviluppo, per poter intervenire partendo dai semi con l’obiettivo di ottenere materie prime europee di maggior qualità per i filati destinati all’industria tessile. A questi due fattori-base si aggiungono la volontà di realizzare una filiera 100% made in Italy, il desiderio di spingere sulla tracciabilità totale da parte dei brand e il trend del ritorno dei materiali naturali e del rilancio delle tradizioni. Così, ai cinque ettari di cotone rigenerato coltivati a Rutigliano e destinati ad Armani, vanno aggiunti i 230 ettari di coltivazione bio di Beste (gruppo Hmoda) nella provincia di Foggia, con conseguente investimento nella realizzazione di un impianto ad Apricena per la ginnatura, lo stesso che verrà utilizzato da Armani per la prima operazione industriale da effettuare sul cotone raccolto in questi giorni e la previsione di un ulteriore investimento concretizzabile entro il 2026 in nord Italia per l’avvio di una filatura.

Sempre nella provincia di Foggia ci sono i trecento ettari coltivati da Gest, azienda di Pietro Gentile e Michele Steduto, per fornire cotone 100% made in Italy alle capsule collection dei grandi brand della moda. Inizialmente lanciata in partnership con Albini group, l’operazione è poi stata portata avanti in maniera autonoma da Gest, azienda con sede a San Marco in Lamis, perché il raccolto non era in linea con le esigenze del gruppo tessile bergamasco che, essendo legato ai tessuti per camiceria, richiede un cotone a fibra lunga, mentre quello coltivato in Puglia è di fibra media e quindi si presta maggiormente all’impiego per il confezionamento delle T-shirt, delle felpe e di altri capi d’abbigliamento. Infine, sempre in Puglia, Toma italian brands, gruppo fashion con sede a Sava (Taranto), sta puntando attraverso la label controllata Havana&co sul rilancio della filiera della canapa, avviato lo scorso anno sulla base di un progetto triennale destinato alla trasformazione semi-artigianale del raccolto in tessuto. E già si parla, almeno a livello sperimentale, del rilancio di un’altra filiera storica italiana, quella della seta a partire dalla bachicoltura, con tentativi in atto nel Veneto.

Pubblicato su Milanofinanza.it

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